Dott. Marco Schneider
Psicologo e Psicoterapeuta

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2015 -“Sul filo del rasoio”. Gli adolescenti e la criminalità giovanile

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Il Dott. Schneider ha partecipato ad un incontro presso la Sala della Stampa di Milano dove ha presentato una relazione sulla criminalità giovanile concentrandosi in particolare sulle "tipologie" di ragazzi che compiono reati e sulle loro motivazioni all'azione criminale.

L’incontro è stato aperto dalla Dott.ssa Daniela Testa, Psicologa Psicoterapeuta milanese molto esperta nel lavoro con l’età evolutiva e specialista della testata “GSA”, la quale dopo aver introdotto la tematica e presentato il programma dell’evento ha proposto la visione di alcuni spezzoni tratti dal “I 400 Colpi”, film del 1959 sceneggiato e diretto da F. Truffaut.

Il titolo originale del film, “Faire le quatre cents coups”, risulta maggiormente evocativo rispetto a quello utilizzato nella traduzione italiana poiché rende al meglio il senso del film, ossia “fare il diavolo a quattro”: il protagonista è infatti un ragazzino di 12 anni che nell’affrontare l’entrata nella adolescenza inizia a compiere diversi atti devianti, compresi reati. La pellicola rappresenta in maniera magistrale i retroscena che conducono il giovane Antoine Doinel a finire in riformatorio: in particolare risulta chiara la spirale di eventi e di “occasioni riparative mancate” che portano il ragazzo, che ha alle spalle una famiglia disattenta e squalificante, a diventare un giovane criminale. 1
Il ragazzino, con una madre rifiutante-espulsiva e un patrigno superficialmente affettuoso ma più interessato a frequentare i club sportivi che il giovane, viene più volte lasciato completamento solo e “allo sbando”, quando non denigrato e trattato male. Significativa è la scena in cui Antoine a casa cerca più volte di portare a termine i compiti scolastici ma non viene minimamente preso in considerazione dai genitori, ma anzi disturbato e squalificato.

A complicare le cose ci si mettono anche i professori della scuola, immotivatamente severi e ottusamente ciechi di fronte alle esigenze dei ragazzi.
2Il protagonista dell’opera cinematografica di Truffaut ad un certo punto si lega ad un altro personaggio, un coetaneo che da un lato gli è amico ma dall’altro si serve di lui per compiere egli stesso atti devianti, tra cui far rubare la macchina da scrivere del patrigno di Antoine sul luogo di lavoro per poi venderla e ottenere i soldi per pagarsi una gita al mare.
Subito dopo il furto però, in un impeto di rimorso e senso di giustizia, Antoine si pente: nonostante le proteste dell'amico decide di riportare la macchina da scrivere dove l'aveva trovata. Lì però viene scoperto e incolpato, e “finalmente” il patrigno lo può denunciare.
Antoine, senza che la madre faccia nulla per impedirlo, viene rinchiuso in un riformatorio lontano da casa.
Particolarmente struggente è il momento dell’incontro tra madre e figlio nella casa di rieducazione, nel quale è evidente allo spettatore il definitivo distacco emotivo tra i due e l'abbandono del giovane a sé stesso.
Il film si conclude con una lunga ripresa in cui viene mostrata la fuga di Antoine dall'Istituto verso il tanto desiderato mare, simbolo dell’inizio di un nuovo capitolo della vita (l’età adulta) che però sembra prefigurare al giovane solo rabbia, solitudine e delinquenza.

Provando a leggere dal punto di vista psicologico la trama del film non si può non notare quanto incida nella evoluzione della storia di questo ragazzo la componente familiare, che come spesso accade è co-responsabile dell’instaurarsi o meno di difficoltà psicologiche e/o comportamentali.
Per poter comprendere appieno le dinamiche familiari, è generalmente utile il ricorso alla teoria delle “Polarità semantiche” di Valeria Ugazio, Psicoterapeuta sistemico-relazionale nota a livello internazionale e docente presso l’Università degli Studi di Bergamo.

Secondo questa teoria ogni famiglia legge gli eventi e dà significato alle cose a partire da proprie specifiche “semantiche prevalenti”, ovvero chiavi di lettura emotive e cognitive che definiscono ciò che è giusto e ciò che è sbagliato, ciò che è permesso e ciò che è proibito, chi è parte del gruppo e chi non lo è, chi è buono e chi è cattivo, chi libero e chi dipendente, ecc.. 3
Rispetto al film, è possibile definire il contesto familiare di Antoine come di tipo depressivo: il sentimento di solitudine, esclusione, inadeguatezza e rabbia esperito dal protagonista è infatti caratteristico di coloro che soffrono di depressione e che per tale ragione sono vincolati alla polarità semantica dell’appartenenza - non appartenenza ad un dato contesto. Tipicamente i genitori di queste persone, come lo sono la madre ed il patrigno di Antoine, sono poco affettivi verso i figli, che fanno sempre sentire degli esclusi privilegiando la relazione di coppia. La ricerca disperata di apprezzamento e di un senso di appartenenza può portare il soggetto ad instaurare legami con persone poco raccomandabili, malintenzionate e capaci di raggirarli per sfruttarli solamente per raggiungere i propri scopi personali. Renè, il ragazzo con cui Antoine fa amicizia, appare una persona (anch’egli in parte solo e sofferente) che cerca di trarre vantaggio dalle debolezze altrui, in questo caso quelle del giovane protagonista che è in cerca di sicurezza e di una relazione “confermante” attraverso cui sentirsi valorizzato, al di fuori di un contesto familiare disattento ed espulsivo.

L’analisi del film funge però solo da introduzione alle tematiche che sono poi state trattate durante l’incontro presso il Circolo della Stampa di Milano.

Rispetto all’intervento del Dott. Schneider, lo Psicologo è innanzitutto partito dall’identificare chi sono i ragazzi devianti e quali solo le motivazioni che portano ai fallimenti esperiti dalle “famiglie problematiche” nei confronti di tali giovani.
Da un punto di vista socio-demografico, è stata segnalata una grande varietà di provenienze dei giovani delinquenti: il panorama è ovviamente ampio e diversificato. Questa varietà la si ritrova anche rispetto alla condizione giuridica dei ragazzi: vi è differenza tra i giovani detti “a piede libero” (ovvero rimandati a casa dopo l'arresto e nell'attesa del processo) e quelli “con misure” (ovvero messi in carcere o comunità educativa dopo l'arresto): per i primi la netta prevalenza (80%) è di ragazzi che vengono da famiglie “normali”, mentre per i secondi la situazione è più varia (molti provengono da famiglie con gravi problemi sociali e relazionali, da famiglie assenti, altri sono giovani stranieri senza fissa dimora, ecc..).
Un altro interessante dato emerso riguarda il fatto che di norma ragazzi con famiglie assenti, con problemi di droghe o mentali compiono reati più gravi. Questo secondo il Dott. Schneider è direttamente proporzionale a due fattori: uno è il maggiore grado di sviluppo emotivo, di capacità critica, di senso morale e civico che comunque mostrano i ragazzi con una famiglia mediamente “normale” alle spalle, nel senso che queste famiglie riescono nonostante tutto a trasmettere valori morali ed etici ai ragazzi utili a contenere i comportamenti più estremi ed antisociali.

Il secondo fattore riguarda il fatto che le famiglie più svantaggiate attuano molto meno controllo sul ragazzo e sul suo comportamento rispetto a quanto fanno le famiglie “normali”, mediamente più attente. Nelle famiglie più problematiche al ragazzo sono lasciati ampi spazi di manovra, in assenza di regole e in un momento importante come lo è l’adolescenza.

Rispetto alle “tipologie” di ragazzi che compiono reati, il Dott. Schneider ne identifica 4:4

  • ragazzi “sofferenti” per i quali il reato è un sintomo (con diverse gravità di psicopatologia): attraverso questo “sintomo” il ragazzo esprime la propria sofferenza. Tali ragazzi vivono con disagio la propria devianza e desiderano inconsapevolmente essere scoperti e aiutati. Un esempio potrebbe essere Antoine, di cui si è parlato precedentemente. Questa è però una categoria varia, che comprende anche ragazzi con intelligenza sotto la norma, che non capiscono le conseguenze dei propri atti e/o sono troppo influenzabili.
  • ragazzi che fanno una “scelta di vita” deviante (per opporsi alla famiglia o al contrario per uniformarsi ad essa): non c’è particolare sofferenza nel compiere reati, ma più semplicemente adesione ai comportamenti e agli ideali devianti. I reati compiuti da questi giovani criminali sono di solito ben organizzati, come ad esempio i reati mafiosi. Questi ragazzi, appartenendo prevalentemente a culture devianti, sono più difficili da trattare.
  • ragazzi in situazioni di “necessità” e senza una rete sociale che possa sostenerli verso un percorso di legalità, che delinquono per bisogno e/o per costrizione. La criminalità li sfrutta perché spesso sono minorenni e dunque hanno minor possibilità di finire in prigione. Spesse volte sono anche animati da buone intenzioni, come i ragazzi stranieri che pur di mantenere i familiari nel proprio Paese d’origine arrivano a delinquere.
  • ragazzi che compiono il reato “per caso”, talvolta non conoscendo nemmeno le norme.

Sul piano emotivo non si può generalizzare la condizione di tutti i ragazzi delinquenti, perché le fenomenologie sono molte. È però vero che in tutti quei ragazzi che possiedono un livello cognitivo nella norma, che quindi sono capaci di intendere e volere e che possono o meno avere famiglie disfunzionali, il reato è sempre un passaggio all’atto, ed è l’espressione di una qualche forma di “vuoto” che viene riempito in vario modo, spesso in modo aggressivo, rivendicativo, predatorio, “distaccato” e de-umanizzato rispetto alla vittima e alla società.
Chi ha un passato (e un presente) di deprivazioni (specie se importanti), di maltrattamenti, di trascuratezza, agisce con grande probabilità tali mancanze e tali “danni” psicologici subiti attraverso la commissione di atti illeciti, entrando quindi nel penale (anche se soggettivamente può non sentire di provare una sofferenza emotiva).
Sul piano psicologico accade spesso che il criminale proietta nella fragilità della vittima la sua stessa fragilità e la propria rabbia per essere stato egli stesso reso vittima, volendola distruggere.
Inoltre, i giovani stranieri, specie di seconda generazione, hanno più probabilità di compiere reati anche seri.

5Dal punto di vista descrittivo, i criminologi identificano specifici fattori di rischio in adolescenza che possono aumentare la probabilità che un ragazzo compia un reato.
Essi sono:

  1. Si diventa estremamente “curiosi” verso il mondo esterno e desiderosi di sperimentare cose nuove (nuovi amici, nuove situazioni, nuovi comportamenti, ecc..) senza però essere pienamente consapevoli di quello che si sta facendo.
  2. Si mettono in atto comportamenti rischiosi per il piacere di farlo, per impressionare gli amici o anche per incoscienza, senza essere in grado di valutare le conseguenze e i rischi per sé e per gli altri (esempi: abuso di alcol, uso di droghe, guida spericolata, ecc..).
  3. Crescono le occasioni concrete per sperimentare senza il controllo della famiglia (si comincia a uscire di casa la sera per stare con gli amici, a gestire il denaro, si frequentano nuovi amici e contesti, ci si relaziona con persone esterne alla famiglia e ai soliti insegnanti, si fanno le vacanze senza i genitori magari, ecc..).
  4. In molti casi non si conoscono le norme e le regole, non si comprende la loro importanza o si violano apertamente e volontariamente come manifestazione di un bisogno di attenzione.
  5. Si riconosce scarsamente l’autorità (non solo quella dei genitori ma anche quella degli insegnanti, delle forze dell’ordine ecc..) o ci si mette addirittura contro.
  6. Si è poco in grado di controllare l’emotività, che sfocia spesso in violenza verbale e/o fisica.
  7. A causa del bisogno di integrazione con il gruppo dei pari e della mancanza di valori “superiori”, si è facilmente “vittima” di modelli di comportamento diffusi e di mode: gli oggetti posseduti e mostrati (I-pad, I-phone, lo scooter, la moto, il giubbotto e le scarpe di marca, ecc..) diventano un modo per esprimere un’identità e un’appartenenza, arrivando anche a delinquere per averli.
  8. Si è più suggestionabili: ci si fa maggiormente trasportare dal gruppo dei pari, all’interno del quale si possono innescare dinamiche di gruppo etero-distruttive o auto-distruttive (come il consumo di droga), e spesso ci si fa coinvolgere da adulti malintenzionati, ad esempio in attività che sembrano procurare facilmente denaro e beni materiali.

Rispetto ai moventi della commissione di reati, tra le cause si possono trovare:

  • Sofferenza psicologica, che negli adolescenti spesso si declina con “passaggi all’atto”. La sofferenza è spesso mascherata da provocatorietà. Le difficoltà relazionali in famiglia sono pressoché sempre presenti nei ragazzi che compiono reati.
  • Rabbia non canalizzata e non “vista”, assimilabile ai “sintomi” psicologici: i ragazzi hanno bisogno di essere ascolti e “visti” dagli adulti che stanno loro accanto, e se ciò non accade, spesso si genera una forte rabbia in loro, che deve in qualche modo essere espressa. Spesso, anche come inconsapevole tentativo di attirare su di sé l’attenzione, la commissione di un reato è una richiesta di aiuto.
  • La “necessità”: come abbiamo visto vi sono ragazzi che vivono in condizioni davvero difficili dal punto di vista economico e relazionale, e che spesso sono spinti a commettere reati, perché sfruttati e ricattati dalla criminalità.
  • Appartenenza a contesti culturali devianti: la criminalità è riconosciuta come un valore e non come un disvalore.6
  • Immaturità: spesso i ragazzi compiono reati perché non in grado di valutare attentamente il disvalore morale e giuridico di alcune loro azioni e di prevedere le conseguenze dei propri gesti. Alcuni di questi ragazzi, particolarmente immaturi, possono addirittura non venire processati per quanto commesso proprio perché giudicati non sufficientemente maturi al momento del fatto.
  • “L’occasione”: in determinate condizioni alcuni ragazzi possono agire comportamenti devianti anche se la loro personalità, la loro situazione familiare e relazionale non presenta difficoltà, e lo fanno per sperimentare nuove sensazioni o per “mettersi alla prova” di fronte ad una situazione inaspettata che si presenta come una “occasione”.

Su un piano più generale, possiamo dire che la devianza giovanile ha delle cause che possono essere ricondotte a ragioni di tipo:

  • Fisiologico (nel seno che l’adolescenza è l’età della trasgressione e della devianza dalle norme e dalle regole). Vi è infatti il desiderio di “spingersi oltre” e di provare nuove emozioni, anche in modo intenso (sensation seeking). Questo vale soprattutto per quei ragazzi che sono “lasciati soli” dalla famiglia, e con i quali nessun adulto significativo parla e si confronta.
  • Culturale (le sottoculture devianti, come gli zingari o la mafia, ma anche sottoculture locali, ecc).
  • “Indotto” dalla stessa società: la teoria rispetto a questa causa è che la nostra società occidentale non permette a tutti l’accesso alle stesse risorse ed opportunità ma al contempo sollecita tutti ad avere tutto ciò che gli altri hanno (omologazione), esaltando le “prestazioni” dei “vincenti” e squalificando i “perdenti”. Per tanti ragazzi la soluzione è “prendersi” (di solito in modo predatorio) tramite i reati ciò che non possono avere in altro modo.

Dopo aver fatto un excursus sulle principali cause di delinquenza, si è infine passati a parlare del DPR 448/88, ossia della Legge riguardante il Penale Minorile in Italia, evidenziandone i punti di forza e di debolezza.


7Tra i punti di forza sono stati segnalati:

  • La legge italiana si basa sulla Giustizia riparativa, che consiste nel dare la possibilità al ragazzo di riparare al danno fatto, e prevede molti atti possibili per evitare la stigmatizzazione.
  • Punta tanto sulla responsabilizzazione e sulla crescita personale.
  • Percorsi di Messa alla Prova (MAP): si tratta di opportunità che il Giudice può dare al ragazzo per permettergli di riscattarsi rispetto al reato compiuto fino all’uscita totale dal sistema giustizia senza nessuna conseguenza.
  • La privazione della libertà e l’interruzione dei percorsi educativi in atto sono solo l’ultima delle possibilità. 
  • Vi è un forte coinvolgimento dei Servizi della Giustizia Minorile e di quelli territoriali per aiutare ed accompagnare il ragazzo.
  • Molta attenzione è dedicata a quando il giovane viene fermato e arrestato, per ridurre al minimo l’impatto traumatico: questo non per “scusare o coccolare”, ma per evitare di innescare fenomeni di identificazione con l’immagine del deviante.
  • Nei processi, presenza di Giudici Onorari esperti di Psicologia, che possono aiutare il Giudice a prendere le decisioni migliori per ogni ragazzo.
  • Vi è un Tribunale dei Minori dedicato proprio alle situazioni dei minorenni: in altri stati non c’è ed i ragazzi vengono processati nei tribunali degli adulti e con le stesse condizioni degli adulti (comprese le condanne).
  • Complessivamente è riconosciuta una delle migliori leggi al mondo.

Tra i punti di fragilità invece troviamo soprattutto lo scarso coinvolgimento della famiglia nella parte progettuale.
Ciò secondo il Dott. Schneider è dovuto a diverse cause:

  • La cultura e teoria prevalenti nell’ambito della criminologia minorile sono di matrice psicodinamica, notoriamente lontane da un approccio familiarista: questo porta a pensare alla famiglia soprattutto come un fattore di rischio o di protezione, più che ad un attore principale da coinvolgere.
  • Il concetto di responsabilità individuale: solo il reo deve rispondere dei propri atti, e dunque il processo deve essere fatto “solo” al ragazzo e non coinvolgere direttamente la famiglia. Va però detto che questa impostazione serve anche a tutelare quei ragazzi le cui famiglie non collaborano, e che quindi se venissero in qualche modo coinvolte nel processo in modo diretto potrebbero peggiorare la situazione giuridica del giovane stesso.8

L’intervento del Dott. Schneider non è stato l’unico presentato. Durante il seminario, organizzato dalla Dott.ssa Luisa Poluzzi, Direttore Generale di GSA (Giornalisti Specializzati Associati), si è avuto modo di approfondire le tematiche della criminalità giovanile anche grazie agli interventi, alle storie e ai punti di vista presentati da altri relatori.
Tra di essi, la già citata Dott.ssa Daniela Testa, la quale ha con sapienza e delicatezza accompagnato i presenti nel mondo della sofferenza di quei giovani ai quali la vita ha riservato soprattutto carenze relazionali, fallimenti negli attaccamenti e maltrattamenti.
Inoltre sono intervenuti il Dott. Vintani (Vice Presidente Federfarma provinciale) e la Dott.ssa Garvaglia (Associazione Dianova ONLUS) che hanno contribuito ad arricchire e a rendere emotivamente coinvolgente un argomento così complesso e allo stesso tempo delicato, che si muove sempre “sul filo del rasoio”.

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