Dott. Marco Schneider
Psicologo e Psicoterapeuta

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“Cambiare le coppie, la parola a Milton Erickson”.

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Introduzione.

Sono ormai diversi anni che la coppia sentimentale è considerata uno degli elementi indispensabili alla vita dei singoli e più estesamente alla tenuta e al benessere della società. 

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Dagli anni ‘90 infatti ed in modo progressivamente sempre più netto si è assistito ad una ridefinizione del concetto di benessere individuale: il mito, infatti, della “singletudine” (così di moda in quel periodo) affiancato a quello del successo professionale  - chi non ricorda gli Yuppies? -  è stato sempre più messo in crisi dagli studiosi e oggi anche dai mass media, a favore di un “ritorno alla coppia”, ad una dimensione quindi più privata ed intima dello stare nel mondo.

La coppia oggi pare rappresentare per molte persone l’oggetto principale sul quale investire per il proprio benessere, anche se va detto che essa viene pensata in modo molto diverso rispetto al passato: se prima infatti le coppie nascevano in gran parte “per fare famiglia” (con una prospettiva quindi sovraordinata rispetto al singolo e in qualche modo ai suoi bisogni individuali) oggi non è più così. La vita in coppia viene sempre più investita di aspettative e di significati individuali legati all’idea di ritrovare proprio al suo interno conferme e gratificazioni personali.

Ci si potrebbe forse spingere a dire che oggi si sta in coppia molto di più per sentirsi gratificati che per costruire qualcosa. 

In altre parole quindi la coppia è oggi in moltissimi casi molto più “emotiva” che “progettuale”.  

Perché è successo tutto ciò?

Per due grandi motivi, sostanzialmente. 

Il primo riguarda ragioni di tipo economico, legate alla crisi economica (che da quasi 10 anni fornisce sempre meno certezze sul lavoro) ma anche ad un percepito aumento della instabilità geopolitica (pensiamo agli ultimi 15 anni di terrorismo internazionale…). Entrambi questi fattori hanno contribuito in modo importante alla diminuzione della fiducia verso il mondo, verso gli altri e verso il futuro.

Ancora più in generale possiamo forse far risalire l’inizio (gli albori) di questo cambiamento della visione del sentirsi in coppia all'affermarsi del macro fenomeno della “globalizzazione”: è da poco più di 20 anni infatti che il lavoro e le carriere professionali sono divenuti sempre più precari e che, salvo rarissime eccezioni, il mondo del lavoro è divenuto sempre meno “certo” e gratificante per la gran parte delle persone, soprattutto per il cosiddetto “ceto medio”.11 

Con un ambiente esterno (quello sociale e lavorativo) sempre meno rassicurante, è diventato quasi gioco forza per molte persone investire le proprie energie nell'ambito emotivo e delle relazioni sentimentalii, ritenendolo un ambito ancora “protetto” di gratificazione e di realizzazione. 

In altre parole il bisogno di sicurezza e di gratificazione personale, non trovando altri ambiti “sicuri” di espressione, sembra essere tornato a rivolgersi agli affetti, ovvero alla famiglia e soprattutto alla coppia, che è l’unità familiare più semplice e facilmente realizzabile.

E se non vi sono certezze sul piano del lavoro e delle prospettive per il futuro è difficile immaginare di costruire dei progetti a medio-lungo termine (anche di tipo familiare). Dunque per forza di cose ci si risolve a “vivere il momento”, concentrandosi maggiormente sul “qui ed ora” piuttosto che sul domani, sul quale sempre più spesso si ha la sensazione di non poter influire. 

Un secondo motivo per il quale si è spostato l’asse della considerazione della coppia da “coppia progettuale” a “coppia emotiva” è l’avvento (relativamente recente) di internet, dei social network e di un diffuso modo di comunicare che mette in primo piano soprattutto l’emotività e l’espressione individuale, anche a discapito della trasmissione dei contenuti. 

Si può affermare che sembra più importante oggi “dire” piuttosto che “avere qualcosa da dire”, e su questa linea molti sono gli studi e le ricerche che analizzano le ragioni per le quali le manifestazioni emotive e comportamentali per esempio degli adolescenti (ma non solo) sono sempre più estreme e improntate alla esibizione: in assenza di “tempo per riflettere”, di filtri fisici e psicologici, con una spinta sempre più forte ad essere riconoscibili, è facile restare incastrati in una logica “anomica” per la quale l’unica cosa che conta è “esserci e differenziarsi”, anche utilizzando strumenti ed espedienti particolarmente rischiosi ed estremi. 

Silvia Calzolari, responsabile dell’area psicologico-pedagogica della Società Sammarinese di Criminologia, in un libro già del 2006 scriveva: “… nell’epoca globalizzata e ipertecnologica, dove tutto si consuma velocemente e i tradizionali sistemi comunicativi e relazionali subiscono continue aggressioni e stravolgimenti, nuove espressioni simboliche, sempre più fisiche, sempre più veementi, divengono linguaggio abituale (…) alla ricerca di un’identità, divise tra impulsi ancora acerbi e fretta di affermarsi in un mondo caotico e povero di certezze…”. 

Spesso le coppie di adulti, soprattutto se in difficoltà sul piano lavorativo, sociale o anche emotivo, possono comportarsi alla stregua di adolescenti assumendo a qualche livello i medesimi comportamenti dei ragazzi e correndo gli stessi rischi.

Questo modo di viversi in coppia (privilegiando la modalità “emotiva”) è tra le altre cose anche uno dei principali fattori per cui le coppie oggi fanno sempre meno figli, si sposano di meno e vi sono sempre più separazioni: ci sono sempre meno progetti, con scadenze sempre più brevi perché si ha paura, e quando la gratificazione personale viene meno, allora ecco che la coppia non regge perché alla base non vi sono idee e "visioni" in grado di assorbire eventuali difficoltà o periodi di fatica.  

Una ultima riflessione: questo generale processo di rivalutazione della coppia può forse essere la cornice entro la quale meglio comprendere le recenti e sempre più incisive sollecitazioni per un riconoscimento giuridico di coppie un tempo definite “anomale”, come le coppie di fatto o le coppie di persone dello stesso sesso: se alcuni anni fa infatti non era culturalmente possibile avanzare tale istanza perché la stessa opinione pubblica era meno attenta al tema e più legata a visioni tradizionali della famiglia, oggi le condizioni sono mutate (ci si apre più alla “emotività” della famiglia) e la lotta per il riconoscimento di tutte le coppie può ottenere nuova forza. 

Il contributo di Milton Erickson.

12Milton Erickson, un grande psicoterapeuta americano, sosteneva che rendere una coppia “felice” significa aiutare i partner a trovare un livello di funzionamento psicologico sufficiente a permettere loro di vivere “normalmente” insieme, ovvero secondo il “principio di realtà”.

Cosa intende Erickson con questa affermazione? 

Egli propone l’idea (per certi aspetti contro intuitiva oggi) che una coppia per poter stare bene e continuare a “crescere” deve innanzitutto porsi l’obiettivo di esistere nonostante la vita e le sue fatiche, cercando cioè di “resistere” e di non lasciarsi intimorire dalla routine di tutti i giorni, che comunque esiste e con la quale è necessario fare i conti. 

Una idea quindi “depressiva”, rinunciataria e al “ribasso” dello stare in coppia? 

Assolutamente no. 

Se leggiamo con attenzione il concetto espresso da questo studioso possiamo comprendere che le coppie sono chiamate a cogliere una sfida difficile perché “subdola”, ovvero quella di riuscire a trovare, coltivare e rendere sempre più preziosi i momenti di intima felicità che si riescono a “rubare” alla vita quotidiana, partendo dalla inevitabile constatazione che si vive in una realtà che non aiuta, che è spesso faticosa, alle volte ripetitiva e certamente piena di ostacoli, che allontana sistematicamente “il reale dall’ideale”. 

Erickson sostiene che la felicità della coppia è un obiettivo cui entrambi i partner devono esplicitamente tendere, sul quale devono essere d’accordo e per il quale bisogna “lottare”, investendo molte energie per "sconfiggere" la routine e l’insieme dei problemi quotidiani, responsabili della insofferenza tra i coniugi e della commissione spesso di agiti reattivi e impulsivi (tradimenti, separazioni ma anche maltrattamenti, ecc..). 

L’obiettivo fondamentale che due partner sentimentali dovrebbero o potrebbero porsi è quindi concedersi, “nonostante tutto”, il lusso di con-dividere la vita sorreggendosi vicendevolmente tutte le volte che uno o entrambi vengono “colpiti” dalla vita stessa (o dal riemergere di antiche sofferenze personali, o timori, o rabbie). 

La coppia quindi non tanto come fonte di gratificazioni narcisistiche, ma come “porto sicuro”, fonte di sostegno e protezione ma anche oggetto prezioso e delicato al tempo stesso, da nutrire e proteggere.13

La ricerca della felicità in altre parole deve partire dalla consapevolezza che se è vero che la routine quotidiana con tutti i suoi problemi è un “nemico”, le coppie per realizzarsi devono non solo tenerla in considerazione, ma anche includerla, farla propria (in questo senso "sconfiggerla"). Va evitato il lasciarsi andare a pericolose fantasie “favolistiche” di fuga dalla quotidianità per ritrovare la felicità.

Se, dice Erickson, la coppia saprà non soccombere alla “nevrosi” della quotidianità, saprà non farsi contaminare da fatiche più o meno banali e dalle incomprensioni.

Se riuscirà a ritagliarsi piccoli momenti “per sé”, allora saprà sempre dove sta andando anche se il percorso sembra per lunghi tratti uguale, monotono e non portare a nulla.

La coppia che saprà far ciò sarà una coppia in grado di evolvere sempre e mai invecchiare, proprio perché è una coppia che parte dal principio di realtà. E allora avrà vinto la sfida del tempo, e della vita.  

Quindi, dice Erickson, sarà una coppia felice.

Lungi dall’essere schierato ideologicamente o religiosamente, Erickson sembra voler dire alle coppie che è nell’equilibrio e nella pacatezza che si ritrova la felicità, che è fatta di piccole, magari impercettibili, “variazioni sul tema”: ogni giorno è lo stesso ma sempre un po’ diverso dagli altri. 

 

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Un altro punto importante del pensiero di Erickson rispetto alle coppie riguarda il fatto che è sbagliato pensare di avere il diritto di modificare il proprio partner: noi infatti non dovremmo pensare che solo perchè siamo in coppia con un’altra persona siamo nella posizione di chiedergli di cambiare parti di sé, abitudini, modi di vivere e di pensare. 

Il solo fatto di pensare di cambiare l’altro, o di chiedergli di farlo, è un atto che mina la stabilità della coppia.  

Per Erickson è scorretto pensare di cambiare l’altro per due ordini di motivi.

Il primo è di ordine morale e riguarda il fatto che non è così che si rispettano le persone (specie quelle a cui vogliamo bene): non si fa davvero il bene dell’altro dandogli indicazioni su come deve essere, su cosa deve pensare e su come deve vivere la propria vita. Anche se ciò che fa non ci piace fino in fondo. 

14Il secondo motivo per cui non è corretto chiedere all’altro di cambiare è che così facendo perdiamo tantissimo tempo prezioso in dispute, litigi (spesso anche feroci e logoranti) e lotte di potere al fine di avere “ragione” dell’altro (il quale a sua volta tenterà di riflesso di cambiare noi!).

Il risultato è che nessuno ottiene nulla se non l’infelicità di tutti ed un conflitto continuo.

Erickson consigliava sempre alle persone, soprattutto a quelle con un problema di coppia, di impiegare il proprio tempo e quello che il partner “regala” loro, facendo qualcosa che piace ad entrambi, qualcosa che rinforzi il senso del “noi”, il senso di essere in comunione con l’altro, piuttosto che tentare di “convincere” l’altro a fare ciò che si vuole o che si ritiene giusto.

È quindi inutile e dannoso concentrarci su cosa non ci va nell’altro, mentre vale la pena di rafforzare cosa ci unisce all’altro. Erickson raccomanda di non fermarsi di fronte al fatto che vi sono una o più cose che non condividiamo del nostro partner: ci esorta a proteggere e “stimolare” tutti quegli ambiti che fanno di due persone una coppia, per “nutrire” tutte le belle cose che si hanno in comune e che si vogliono preservare, lasciando da parte, “depotenziando” quindi, la negatività delle cose meno utili alla coppia. 

Il suggerimento alle persone è in qualche modo quello di “volare alto” senza inciampare nelle cose banali e dannose per la coppia. Bisogna essere propositivi per la propria felicità ma soprattutto per quella del proprio partner. E, per dirla con un altro famoso psicologo italiano, Gianfranco Cecchin, è fondamentale essere “curiosi” dell’altro, delle sue idee, del suo modo di pensare e anche di guardare a noi. 

 

                                                    ***

 

Vi è un ultimo concetto importante del pensiero di Erickson che vale la pena di riprendere.

A chi chiedeva ad Erickson se per lui era importante aiutare le persone a capire “il perché” si comportavano in un determinato modo, egli rispondeva spesso con una battuta, che suona più o meno così: “ma voi a delle persone di successo e felici chiedereste ‘perchè sei felice?’ ‘perché hai successo?’. Chi è felice lo è e basta. Chi non lo è, invece, dovrebbe diventarlo, senza perdere tempo a pensare al perché è infelice”.

Se certamente una prospettiva di questo genere è molto “americana”, nel senso che possiede una quota di pragmatismo quasi radicale che per noi europei risulta poco “digeribile” (abituati come siamo culturalmente alla riflessione e alla ricerca di connessioni tra eventi e motivazioni), è anche vero che l’insegnamento di pensare primariamente e concretamente a come modificare la propria situazione di sofferenza facendo delle cose, delle “prove ed esperimenti”, piuttosto che fermarsi a riflettere sulle ragioni che ci mantengono in una determinata situazione può essere uno stimolo da tener presente, soprattutto quando ci si trova a vivere momenti nei quali è necessario “reagire”.

Possiamo forse dire che è certamente rischioso “agire senza pensare”, ma il “pensare senza agire” rischia di non aiutarci fino in fondo a trovare la nostra strada e la nostra felicità nella vita.  

Conclusioni.

In questo articolo ho voluto segnalare alcuni dei pensieri di Milton Erickson sulle aspettative erronee che le persone hanno nei confronti del proprio partner e della propria coppia, che sono alla base molto spesso di problemi e difficoltà importanti e che rendono complicata e piena di sofferenze la vita insieme ad un’altra persona. 

Va fatta a questo punto una importante precisazione.15

Quanto detto da Erickson rispetto alla non utilità di “combattere per cambiare l’altro” vale anche per quelle situazioni nelle quali uno dei partner ha comportamenti scorretti verso l’altro, pregiudizievoli, offensivi, lesivi della dignità personale o addirittura anche violenti: anche (e soprattutto) in questo caso non si può pensare di “cambiare” un partner violento, standogli vicino e “sopportando per lui/lei e con lui/lei” la sua stessa violenza. 

Né bisogna accontentarsi di piccoli momenti di relativa serenità che intervallano momenti di violenza o conflitto grave.  

Non è di questo che parla Erickson.

Bisogna prima di tutto proteggersi, a volte anche difendersi, e in tanti casi proteggere altre persone vicine a noi, vittime anch’esse di una sofferenza che non si cura con la sopportazione e la pazienza, ma con altri strumenti e in altri luoghi.   

Approfondimento tecnico.

Milton Erickson, (1901-1980, Stati Uniti d'America), è uno dei massimi esponenti della corrente psicologica dell’ipnotismo e della psicologia cosiddetta “strategica”. Da più parti è riconosciuto come una autorità indiscussa nel lavoro psicoterapeutico con le persone, volto a guarirle da sintomi e sofferenze psicologiche o relazionali anche molto serie. Le percentuali di successo delle terapie di Erickson, viene riportato, sono sempre state alte. 

Gli insegnamenti che ha dato anche rispetto all’aiuto alle coppie in difficoltà restano un riferimento importante per tutti gli psicoterapeuti del mondo, anche se spesse volte è imprescindibile fare anche, in affiancamento al lavoro da lui proposto, una riflessione sulle ragioni che sostengono determinati comportamenti ed emozioni. Capendo cosa ci spinge a comportarci in un determinato modo (quindi conoscendoci), possiamo essere “più pronti” ad affrontare eventuali momenti futuri di difficoltà, e quindi anche ad agire.

Testo di riferimento. 

Haley J., “Cambiare le coppie, conversazioni con Milton Erickson”, 1985, Astrolabio Editore, Roma

 

 

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