Marco Schneider, Giulia Sceusa
Secondo la prospettiva sistemico-relazionale, i confini familiari rappresentano regole implicite e dinamiche che organizzano le modalità di interazione tra i membri della famiglia e tra i diversi sottosistemi (genitoriale, fraterno, coniugale, ecc.). Essi definiscono chi partecipa a una relazione, in che modo e con quale grado di coinvolgimento, regolando la distanza emotiva e la prossimità tra i membri.
Il termine confine è stato introdotto in terapia familiare da Salvador Minuchin (1974) nel volume Families and Family Therapy, in cui l’autore descrive i confini come una sorta di linea invisibile che separa e connette al tempo stesso le persone e i sottosistemi familiari.
Parlare di confini, dunque, significa riferirsi a un principio organizzatore che stabilisce l’equilibrio tra autonomia e appartenenza, individuazione e coesione, all’interno della famiglia e nelle sue relazioni con l’ambiente esterno.
Per Minuchin, un funzionamento familiare efficace si fonda su confini chiari e flessibili, che consentono sostegno reciproco e intimità senza compromettere la crescita individuale. L’autore definisce disfunzionali i confini rigidi oppure quelli “invischiati”. Per confini rigidi, si riferisce a famiglie impermeabili nel contatto con l’esterno, con poca comunicazione, scambi scarsi e isolamento dei sottosistemi. Questa conformazione familiare genera distanza emotiva, solitudine e mancanza di supporto.
Al contrario, i confini invischiati definiscono famiglie eccessivamente permeabili, nelle quali i sottosistemi non sono distinti e i ruoli e le responsabilità sono confuse, non chiare. Ciò può portare alla strutturazione di identità fragili, dipendenti e con difficoltà di separazione.
Dagli anni ’60 agli anni ’80 Diana Baumrind, Maccoby e Martin, psicologi dell’età evolutiva, danno il via ad una serie di ricerche sugli stili educativi genitoriali. Dal loro lavoro vengono definiti 4 stili, che descrivono il comportamento del singolo genitore verso il figlio. Il comportamento educativo genitoriale può presentare tratti autoritari, autorevoli, permissivi o trascuranti.
Lo stile ritenuto più funzionale per i figli, è quello “Autorevole”. In questo stile i genitori sanno mantenere regole chiare e coerenti senza rinunciare al calore e alla vicinanza emotiva. Il genitore autorevole sa accompagnare il figlio nel suo percorso di crescita con fermezza ma anche con empatia, ponendo confini adeguati ma lasciando spazi di esplorazione e di autonomia. Anche i conflitti, inevitabili in ogni relazione, vengono gestiti in modo costruttivo: il genitore autorevole non ricorre alla punizione fisica, all’umiliazione o alla manipolazione, ma al dialogo, al confronto e alla spiegazione delle proprie scelte educative. Si tratta dunque di un modello che promuove un sano equilibrio tra sostegno e controllo, tra appartenenza e autonomia e permette la costruzione di un’identità stabile e funzionale.
Sulla base di queste ricerche il lavoro del dottor Schneider e dei suoi collaboratori si è posto l’obiettivo di valutare l’effettiva capacità, oggi, delle classificazioni “classiche” sugli stili genitoriali di descrivere e rappresentare le moderne modalità con le quali i genitori si rapportano ai figli. Da questo lavoro ne è venuta una riformulazione degli stili genitoriali, definiti ora “relazionali” e non più “educativi”.
Il fine è quello di rappresentare con la migliore accuratezza possibile le modalità con le quali la famiglia e i figli crescono, si sviluppano e imparano a riconoscere sé stessi e gli altri.
In questa ottica il clima familiare e il modello relazionale genitoriale prevalente contribuiscono a definire cosa per il figlio sia “possibile” sentire, pensare e fare, e cosa invece venga percepito come proibito, sbagliato o addirittura pericoloso.
Molto spesso, pur animati da intenzioni positive o spinti da proprie fragilità e dai propri vissuti, i genitori mettono in atto modalità relazionali che si rivelano dannose per lo sviluppo psicologico-identitario dei figli.
Nell’articolo “Stili genitoriali: conoscere come ci relazioniamo con i nostri figli per essere genitori più consapevoli” (2025) il Dott. Schneider propone una nuova classificazione di pattern relazionali disfunzionali (Parental Relational Style – PRS). Questi pattern, definiti “stili relazionali genitoriali” sono raggruppati in Cluster (ovvero gruppi), ognuno dei quali descrive una specifica macro-attitudine relazionale dei genitori che si suddivide in diversi sottostili, ordinati in base al Gradiente di Intensità (GI) con cui si manifesta il tratto caratteristico disfunzionale.
Il primo Cluster, è quello “Impositivo”. Esso si colloca nella tradizione degli stili autoritari. In esso i genitori appaiono intrusivi, fortemente direttivi e in alcuni casi anche ansiosi. In questo caso si tratta di genitori “Propositivi”, che riempiono la vita dei figli di stimoli, attività e suggerimenti con l’intento di non far loro perdere opportunità o di aiutarli a esprimere al massimo le proprie potenzialità. La motivazione è spesso positiva e affettuosa, ma il risultato è quello di saturare lo spazio del figlio, impedendogli di elaborare autonomamente pensieri e strategie. In altre situazioni, sempre all’interno di questo Cluster, i genitori possono esprimere uno stile “Autoritario”, nel quale le regole sono stabilite unilateralmente, vi è scarsa comunicazione, assenza di negoziazione e un clima emotivo freddo e distante. Qui il figlio è chiamato unicamente all’obbedienza, senza possibilità di esprimere la propria soggettività. Infine, nello stile più estremo ed intenso, quello “Maltrattante” i genitori si relazionano al figlio con aggressività verbale o fisica, svalutazioni continue e una visione rigidamente negativa del figlio, considerato “sbagliato” a prescindere. È evidente che in queste condizioni lo sviluppo identitario del ragazzo rischia di avvenire unicamente in due direzioni: o per sottomissione totale alle aspettative genitoriali o per opposizione rabbiosa, senza mai trovare uno spazio di autentica autodeterminazione.

Il secondo Cluster è detto “Autonomizzante”. Esso è rappresentativo di genitori che non impongono regole o direttive quanto piuttosto tendono a ritirarsi dal ruolo educativo, lasciando i figli in una sorta di “vuoto relazionale”. Nello stile “Autonomizzante”, il genitore dichiara di avere fiducia nelle capacità del figlio e di volerlo responsabilizzare lasciandolo libero di fare esperienze in autonomia. Dietro a questa apparente apertura, però, si nasconde spesso il disimpegno e la passività. I genitori si attivano soltanto su sollecitazione, costringendo i figli a dover insistere per ricevere attenzione e cura. Nello stile “Lassista” la mancanza di regole diventa ancora più marcata: non vi è alcuna guida, alcuna supervisione e i figli crescono senza punti di riferimento, con difficoltà a distinguere ciò che è giusto da ciò che è sbagliato. Infine, nello stile “Trascurante” si arriva all’abbandono vero e proprio, con una negligenza che può riguardare non solo i bisogni psicologici ed emotivi, ma anche quelli più concreti come l’alimentazione, l’igiene e la protezione fisica. In questi casi possono essere necessari interventi esterni dei servizi sociali. Anche qui le conseguenze per l’identità dei figli sono significative: si sviluppa spesso una profonda sfiducia in sé stessi e negli altri, un senso di solitudine e un atteggiamento evitante nei confronti delle relazioni.

Il cluster “Collusivo-manipolatorio”, è forse quello che più chiaramente mette in evidenza il concetto di confine familiare. In queste famiglie i confini interni sono deboli o confusi, mentre quelli con l’esterno risultano rigidi e impermeabili. Si tratta di contesti invischiati, dove manca una chiara separazione psicologica tra genitori e figli, o comunque tale separazione non è realizzata in modi utili ad un sano sviluppo emotivo e psicologico dei figli.
Nello stile “Collusivo” il genitore si percepisce “in totale sintonia” con il figlio, fino a convincersi di conoscerne pensieri e desideri meglio dello stesso ragazzo. In questo modo il figlio non viene riconosciuto come soggetto autonomo, ma come estensione del genitore. Nello stile “Manipolatorio”, invece, la differenza tra sé e l’altro è riconosciuta, ma viene usata dal genitore per mantenere un controllo sul figlio, sebbene esso venga realizzato in modo indiretto: il genitore induce nel figlio l’idea di non potercela fare da solo, reprime le sue spinte all’indipendenza con il senso di colpa o con la minaccia di perdere amore e sostegno. Entrambi questi stili hanno in comune il fatto di ostacolare il processo di separazione-individuazione, impedendo lo sviluppo di una soggettività autentica. Il maggiore rischio che i figli in queste famiglie corrono è legato al fatto che la loro identità si formi come identità “etero-diretta”, incapace di distinguersi davvero dal pensiero genitoriale.

Infine, il Cluster “Ipercoinvolto” si caratterizza per un eccessivo investimento emotivo dei genitori nei confronti dei figli, vissuti come centro totalizzante della vita familiare. Le preoccupazioni, i pensieri e i dialoghi dei genitori tra loro e con esterni ruotano quasi esclusivamente intorno ai figli, generando la sensazione di essere “fagocitati” dalle loro richieste e privati di uno spazio personale. Questo porta a un circolo vizioso di dipendenze reciproche e conflitti, molto resistente anche agli interventi terapeutici. Il Cluster si articola in tre stili: quello “Perplesso”, nel quale i genitori sono spaesati e stanchi, incapaci di comprendere i comportamenti del figlio e caratterizzati da ansia ma soprattutto da senso di impotenza, quello “Richiedente”, dove i genitori, fortemente ansiosi, reagiscono al senso di non comprensione del figlio con continue domande e richieste di spiegazioni, alimentando così in loro stessi e nel figlio sensi di colpa e percezione di inadeguatezza. Infine nel Cluster “Ipercoinvolto” è presente lo stile “Rabbioso”, caratterizzato da genitori che vivono il figlio come indecifrabile e che reagiscono con rabbia e risentimento al loro vissuto di impotenza e distacco emotivo del figlio, reazioni cui fanno seguito intensi sensi di colpa e angoscia per le loro esplosioni emotive.

È interessante notare come in molti casi le intenzioni dei genitori non siano malvagie o volutamente distruttive, quanto piuttosto animate da ansie, paure e fragilità personali.
Nello stile Propositivo, ad esempio, dietro all’eccessiva quantità di stimoli forniti ai figli si nasconde il timore che il figlio non riesca a costruirsi un futuro. In quello Collusivo, dietro alla fusione tra genitore e figlio si cela una profonda insicurezza del genitore e la paura dell’abbandono. Nello stile Richiedente, dietro alle domande incessanti si intravede il tentativo di calmare le proprie angosce.
La classificazione degli stili relazionali genitoriali non ha l’obiettivo di stigmatizzare i genitori, ma di offrire uno strumento per comprendere le dinamiche disfunzionali che possono ostacolare il sano sviluppo dei figli. In ottica sistemico-relazionale, infatti, nessun comportamento può essere interpretato in maniera lineare o colpevolizzante: ogni modalità ha infatti senso all’interno del contesto in cui si sviluppa e si mantiene, grazie al contributo circolare di tutti i membri della famiglia. È per questo che è necessario disporre di una mappa sufficientemente accurata delle possibili modalità con le quali i genitori si relazionano ai figli, così da avere un valido strumento di conoscenza delle dinamiche familiari.
Una volta identificato lo “Stile relazionale prevalente” in una data famiglia (esito dell’incontro/confronto tra gli stili individuali dei genitori e delle risposte sia dei figli che di altri parenti), gli obiettivi di trattamento possono venire definiti. Ad esempio è possibile pensare che per il figlio possa essere necessario un lavoro volto a favorire la costruzione di un sé autonomo e differenziato mentre per i genitori devono essere pensati interventi personalizzati, come ad esempio un lavoro per riconoscere i propri pattern e regolare le emozioni per il genitore che risulti “dominante” ed un lavoro ad esempio volto ad uscire dal ruolo passivo diventando portatore di differenza per quel genitore che risulti “complementare” alla dominanza del coniuge.
In tutti i casi, un importante obiettivo del percorso psicologico resta la ristrutturazione dei confini familiari, affinché essi diventino chiari, flessibili e funzionali.
In terapia spesso si lavora per esplorare il significato sottostante al comportamento visibile. In quest’ottica aiutare i genitori a trovare modalità più adeguate di relazione con i figli, anche affrontando le proprie paure senza coinvolgere i figli in dinamiche disfunzionali, è certamente una parte importante del percorso.
L’identità non è qualcosa che si possiede, ma è una qualità “dell’essere” che si costruisce continuamente attraverso le relazioni e le narrazioni condivise. Se un figlio viene costantemente descritto come fragile, incapace o cattivo, è facile che finisca per introiettare questa definizione. Il lavoro terapeutico può allora consistere nell’esplorare la possibilità di nuove narrazioni, restituendo al figlio la libertà di vedersi in modi diversi e più funzionali. In questo senso, intervenire sugli stili genitoriali significa anche intervenire sulle storie familiari, ampliando le possibilità identitarie dei figli.
| Cluster | Ansie / Fragilità dei genitori | Conseguenze sui figli |
|---|---|---|
| Impositivo | Ansia di controllo; paura del caos e del fallimento del figlio; bisogno di mantenere autorità e potere; fragilità narcisistica. | Obbedienza passiva o ribellione oppositiva; identità fragile o rigida; scarsa autonomia; bassa autostima. |
| Autonomizzante | Paura del coinvolgimento emotivo; ansia di inadeguatezza; evitamento delle responsabilità educative; vissuti depressivi o passivi. | Senso di solitudine e abbandono; sfiducia negli altri; confusione su regole e valori; stile evitante nelle relazioni. |
| Collusivo–manipolatorio | Paura dell’abbandono; bisogno di fusione o di controllo affettivo; identità dipendente; uso del ricatto emotivo. | Identità fusa o etero-diretta; difficoltà di separazione-individuazione; senso di colpa; autostima condizionata dall’approvazione altrui, disturbi mentali seri. |
| Ipercoinvolto | Ansia intensa; paura di non capire/saper gestire il figlio; spaesamento; alternanza tra rabbia e sensi di colpa, angoscia, forte insicurezza personale. | Ansia e insicurezza; senso di inadeguatezza; difficoltà nella regolazione emotiva e nei confini personali, difficoltà nell’impegnarsi nella vita e nel reggere le frustrazioni |
Tabella: Cause e conseguenze degli stili genitoriali.
Abbiamo finora visto le possibili declinazioni degli atteggiamenti relazionali che i genitori possono avere verso i figli.
Vediamo ora quali tipi di comportamenti possono invece assumere i figli soprattutto nella fase adolescenziale.
I ragazzi possono tentare uno svincolo, una differenziazione dalle regole familiari se percepite come troppo rigide ma possono anche mettere in atto una protesta volta a ridefinire i rapporti di forza in famiglia.
In alcuni casi possono ricercare l’attenzione dei genitori con modalità di richiamo più o meno eclatanti o possono optare per forme di adeguamento passivo al volere dei genitori, con rinuncia alla propria autenticità. Infine possono anche tentare la ricerca di appartenenza all’esterno della famiglia ed in opposizione ad essa attraverso comportamenti detti di “gregariato”, con il rischio di aderire a gruppi devianti.
Tutti questi comportamenti, pur alimentando circoli viziosi e dinamiche disfunzionali, vanno letti come tentativi di rinegoziare i confini e affermare la propria identità all’interno o all’esterno del sistema familiare. Per questo motivo, questi comportamenti si possono considerare utili indicatori delle tensioni e delle problematiche del sistema famiglia ed offrono al clinico un punto di accesso privilegiato per comprendere i bisogni profondi della famiglia e promuovere nuove e più sane relazioni familiari.
In conclusione, gli stili relazionali genitoriali rappresentano una lente preziosa per comprendere i processi di sviluppo e di sofferenza nelle famiglie. Non si tratta di categorie colpevolizzanti, ma di strumenti che aiutano a leggere le dinamiche interpersonali e a orientare il trattamento. Accompagnare la famiglia in un percorso di ristrutturazione dei confini e delle reciproche relazioni permette a ciascun membro di sviluppare una propria identità senza perdere il senso di appartenenza al nucleo familiare.
Articolo scritto dal Dott. Schneider in collaborazione con la Dott.ssa Giulia Sceusa, trainee presso lo studio del Dott. Schneider.
Bibliografia.
Minuchin, S. (1974). Families and family therapy. Harvard University Press.
Nichols, M. P., & Davis, S. D. (2020). Family therapy: Concepts and methods (12th ed.). Pearson.
Schneider M., (2025) Stili genitoriali: conoscere come ci relazioniamo con i nostri figli per essere genitori più consapevoli.
www.psicologo-rho.com.https://psicologo-rho.com/2025/02/15/stili-genitoriali-conoscere-come-ci-relazioniamo-con-i-nostri-figli-per-essere-genitori-piu-consapevoli/



